Bentornata a casa, Silvia.

Sono le 19.00, io sono da poco rientrata da una giornata lavorativa a dir poco devastante e questo potrebbe non essere il momento migliore per mettermi a fare la polemica, ma polemizzare è uno dei miei sport preferiti ed oggi che sono ispirata non ho nessuna voglia di mettere a tacere la mia vena creativa.

Inutile introdurre l’argomento, poiché immagino che sia ben noto a tutti coloro che bazzicano almeno un po’ il web, pertanto non ho intenzione di dilungarmi troppo sulle premesse: lo sappiamo tutti, la giovane volontaria Silvia Romano è rientrata in Italia dopo 18 mesi di prigionia, lei che era andata in Kenya ad aiutare il prossimo, seguendo per altro le fin troppo ripetute indicazioni dei nostri cari amici xenofobi e razzisti: “Aiutateli a casa loro.”

Non so in quanti si ricordino il periodo trascorso a domandarsi che fine avesse fatto Silvia, se fosse ancora viva, se qualcuno le avesse fatto del male. Mesi duri, durissimi per amici e familiari, inconsapevoli delle sorti della loro amata ed ormai rassegnatisi a dover accettare qualunque ipotesi, persino le peggiori.

Invece, dopo 18 mesi, Silvia è finalmente tornata a casa.

Sta bene, dice lei, e adesso si fa chiamare Aisha, forse sono stati sborsati un sacco di soldi per pagare un riscatto ad un gruppo di terroristi, comunque questo non dovrebbe importare, alla fine ciò che conta veramente è che lei sia tornata a casa e che stia bene, vedere il suo sorriso sollevato dovrebbe essere più che sufficiente a tutti quanti.

Invece no.

Come avviene fin troppo spesso, la prima cosa accaduta è che l’opinione pubblica ha immediatamente criticato Silvia Romano per una serie infinita di ragioni, ognuna del tutto fuori luogo se si considera il fatto che una ragazza tenuta sotto sequestro per più di un anno è stata finalmente rilasciata ed ha fatto il proprio rientro nella sua terra natia.

Il primo aspetto da criticare è stato il suo sorriso, quel sorriso con cui è stata fotografata nell’istante in cui le sue braccia hanno incontrato quelle impazienti e premurose di sua madre: “Dopo essere stata tenuta prigioniera per 18 mesi, riesce persino a sorridere? Deve esserci qualcosa sotto, allora, sta certamente raccontando qualche bugia perché nessuna persona che abbia subito un rapimento può permettersi di sorridere.”

Non sfiora minimamente l’ipotesi che forse, in quel momento, Silvia era solo traboccante di gioia nel realizzare di essere di nuovo lì, a casa propria e fra le braccia di sua madre, quella madre che in tanti mesi di prigionia le sarà mancata un numero infinito di forte e che forse, in più di un’occasione, avrà temuto di non poter più rivedere. Non sfiora il dubbio che quel sorriso, una semplice facciata, possa in realtà nascondere un dolore ben più grande di ciò che traspira e che lei stessa, per sopravvivenza, si è sforzata di tacere.

Una valutazione superficiale, a mio avviso, da cui non si può desumere niente ed anzi, lascia in sospeso tanti più dubbi che risposte.

Il secondo aspetto da criticare è stato il suo abbigliamento: un Hijab, un velo islamico che lascia supporre un’ipotetica conversione all’Islam, teoria a seguito supportata dalla stessa Silvia che ha confessato di aver abbracciato spontaneamente la fede del Corano e di aver cambiato nome in Aisha, a seguito di tale conversione.

Un gesto inaccettabile per la massa mediocre, da condannare in quanto sinonimo di tradimento alla bandiera italiana ed al Paese, un assoggettamento al nemico integralista, un vilipendio alla nostra cultura ed alla nostra fede.

Nessuno sembra credere ad una conversione spontanea, più plausibile pensare che Silvia sia stata forzata dai suoi rapitori, alcuni ipotizzano persino un matrimonio con uno dei rapitori, forse persino una gravidanza – nonostante la ragazza abbia, durante un lungo interrogatorio con le forze dell’ordine, dichiarato di non aver subito alcuna forma di violenza da parte dei suoi carcerieri e di non aver avuto rapporti sessuali con loro. Si parla di Sindrome di Stoccolma., di lavaggio del cervello, nessuno riesce ad accettare l’ipotesi di una conversione spontanea.

Ed anche i pochi che lo fanno, naturalmente, lo reputano un valido motivo per giudicare la vittima.

Il mio pensiero, al riguardo, è molto semplice: Poniamo davvero che Silvia si sia convertita al Corano perché “forzata” o perché qualcuno le ha fatto il lavaggio del cervello; qualsiasi decisione forzata implica, tautologicamente, un’azione violenta su di un individuo e pertanto chi subisce non dovrebbe essere malgiudicato o colpevolizzato di qualcosa, sarebbe quantomeno auspicabile esprimere il proprio supporto e la propria comprensione, esente da qualsiasi forma di critica o pregiudizio.

Se così fosse, ci troveremmo di fronte al classico caso di “Victim Blaming” di cui troppo spesso ho parlato: la vittima, invece di essere compresa e compatita, subisce il trattamento inverso e vede caricarsi sulle proprie spalle il peso della responsabilità di quanto le è accaduto.

Non sono gli altri ad averle fatto del male ma è lei che, con il suo comportamento irresponsabile, si è messa nelle condizioni di subire un qualsiasi genere di violenza. Del resto, queste parole erano state già pronunciate durante il periodo del suo rapimento: “Che cosa c’è andata a fare laggiù? Ma non poteva restarsene a casa? Se una ragazza giovane e sprovveduta va in un posto del genere se lo deve aspettare che, prima o poi, le capiti una cosa del genere.”

Sbagli perché non sei rimasta a casa tua, perché hai osato andare oltre i pregiudizi e ai luoghi comuni della gente.

Sbagli perché, semplicemente, hai avuto coraggio.

Questa forma di colpevolizzazione della vittima mi fa imbestialire, ma poniamo invece il caso che Silvia non sia del tutto una vittima – e lo è, parliamoci chiaro, perché per quanto gentili i suoi carcerieri possano essere stati si è trattato pur sempre di un rapimento – e che la sua conversione sia stata spontanea e consapevole. Questo fa arrabbiare ancor di più, perché risulta inaccettabile l’idea che una persona possa cambiare religione e convertirsi ad una fede differente.

E se poi parliamo di fede Islamica allora è un affronto, perché dell’Islam si è soliti considerare solo gli aspetti integralisti, dimenticandosi del fatto che 1) non tutti gli islamici sono integralisti 2) in tutte le religiosi è possibile incontrare gli integralisti.

È inaccettabile il pensiero che Silvia possa essersi convertita spontaneamente, poiché è inaccettabile l’idea che una persona (tanto più una donna) possa scegliere in maniera consapevole di rinunciare alla propria fede cattolica (o alla propria mancanza di fede) per seguire la religione islamica.

Eppure va bene se un ateo si converte al Cristianesimo, poiché ha infine visto la luce.

Esiste una religione di serie A ed una di serie C e quest’ultima la si definisce in base ad una tradizione “millenaria” che vedrebbe il Cristianesimo come nostra sola ed unica religione.

Certo, l’Italia è nata pagana in principio, però anche questa è una cosa che molto spesso si tende a dimenticare.

Qualunque sia stata la motivazione che ha portato Silvia – anzi, Aisha – a compiere la propria scelta non possiamo conoscerla e proprio perché non sono a noi note tali ragioni, non abbiamo il diritto di criticarle.

Francamente non mi importa il perché Silvia si sia convertita: Se dettata da volontà propria, rispetto la sua libertà di culto; se causata da minacce di morte o lavaggi del cervello, non biasimo la sua scelta e non mi sogno di criticarla.

In primo luogo sono semplicemente felice di sapere che sta bene, che finalmente è tornata a casa e che potrà infine lasciarsi alle spalle ogni brutta esperienza che abbia vissuto.

Ritengo inopportuno e fuori luogo qualsiasi commento su questa vicenda, credo che nessuno sia davvero in grado di comprendere le motivazioni che si celano dietro a qualunque gesto avvenuto a seguito di un evento traumatico e questa mancanza di empatia mi turba e ferisce più di qualunque altra cosa, la totale assenza di comprensione e di rispetto per le vite altrui mi lascia attonita e ferita come ogni altro genere di violenza.

Si parla di un riscatto di 4 milioni di Euro pagati per la liberazione di Silvia e ci sono persone che si indignano perché i soldi degli italiani non possono essere utilizzati per pagare dei terroristi, che un simile gesto significa mortificare il nostro paese. Che sia vero o meno, ritengo che nessuno possa attribuire un valore economico alla vita di una persona e siccome i commenti in stile “Eh, a lei 4 milioni di euro e ai lavoratori non arriva la Cassa Integrazione” sono RIDICOLI , credo che la cosa più saggia in questo momento sia restare in silenzio e gioire del semplice fatto che una vita umana sia stata, per questa volta, salvata.

Mi chiedo, infine, se i commenti sarebbero stati differenti se Silvia fosse stato Silvio e se per caso questo ipotetico volontario non sarebbe stato descritto come un eroe valoroso, un coraggioso missionario disposto a rischiare la propria vita per aiutare il prossimo.

Forse a lui non avrebbero dato dello “sprovveduto” e non avrebbero avuto dubbi sul suo stato di prigionia solo perché lui ha dichiarato di stare bene e di non aver subito alcuna violenza – come se fosse una colpa, in fin dei conti, essere sopravvissuti ad un simile destino.

Non aggiungerò altro, perché scrivo oramai da due ore – con le dovute pause ed interruzioni – e ho voglia di riposarmi per il resto della serata… Ma un’ultima cosa la vorrei dire.

Bentornata a casa, Silvia.

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